Oggi scopriamo quando il mancato pagamento dell’IVA rappresenta un reato. Vediamo tutti i casi e le sanzioni previste.
La crisi economica che ha investito l’Italia, a causa della pandemia e della guerra in Ucraina, ha messo in difficoltà numerosi imprenditori. Per questo motivo, può accadere che un datore di lavoro si trovi di fronte alla difficile scelta: pagare gli stipendi o versare l’IVA.
Si tratta di una decisione estremamente difficile nella quale nessun imprenditore vorrebbe mai trovarsi. Ma, purtroppo, è un fenomeno abbastanza diffuso.
A proposito della suddetta imposta, a breve dovrebbe essere annullata l’IVA sui prodotti per la prima infanzia e non solo: una grande notizia per i genitori.
Ma ora proviamo a capire che cosa dice la legge in caso di mancato pagamento dell’IVA da parte delle imprese e come ha fatto la Corte di Cassazione a risolvere alcune specifiche circostanze.
Mancato pagamento dell’IVA: cosa dice la legge?
In questa difficile epoca storica, sia i grandi imprenditori che i piccoli imprenditori sanno di dover affrontare delle oggettive difficoltà. Spesso è difficile far fronte all’elevata pressione fiscale e al pagamento delle imposte previste dallo Stato italiano.
Una delle più importanti imposte è l’IVA, ovvero l’imposta sul valore aggiunto. L’omesso versamento dell’IVA di per sé non è un grosso problema. Tuttavia, la situazione si inasprisce quando si supera una determinata soglia fissata dalla legge.
Attualmente il limite imposto è di 250.000 euro. Il mancato versamento dell’IVA per la suddetta somma di denaro rappresenta un reato, in base a quanto previsto dall’articolo 10-ter del decreto legislativo 74 del 2000.
Tuttavia, ci sono dei casi in cui il mancato pagamento dell’IVA dovuta allo Stato è giustificato. Questa circostanza si verifica quando l’imprenditore si trova di fronte ad una difficile condizione economica che lo spinge a dover scegliere se versare gli stipendi ai suoi dipendenti o l’IVA allo Stato.
A tale proposito è opportuno ricordare che la Corte di Cassazione, in più occasioni, è intervenuta proprio in merito a questo dilemma, ribadendo che affinché si configuri il reato di omesso versamento dell’IVA è necessario che sussista il dolo generico. In sostanza, è sufficiente che l’imprenditore sia consapevole dell’omesso versamento, perché si configuri il reato.
Inoltre, la Cassazione ha anche stabilito che le motivazioni che si celano dietro la scelta dell’imprenditore non mitigano la sua posizione. Allo stesso tempo, la stessa Cassazione ribadisce che non è possibile rifarsi a suddetto principio senza andare a valutare la condizione specifica dell’imprenditore, che non ha effettuato il versamento dell’imposta.
Per questo motivo, la Corte ha individuato dei casi ben specifici per i quali lo Stato non ha la possibilità di esigere il versamento dell’IVA.
Casi di giustificata omissione dell’IVA
La Corte di Cassazione ha individuato i casi in cui l’omissione dell’IVA è ritenuta giustificata e, dunque, lo Stato non ha la possibilità di esigere il versamento dell’imposta.
Questa fattispecie si verifica quando l’imprenditore o i soci dell’azienda hanno adottato tutte le iniziative necessarie a fronteggiare la crisi finanziaria che ha colpito l’attività. Ad esempio, facendo ricorso anche alla donazione di beni personali per trovare la liquidità per salvaguardare l’azienda.
Sono previsti anche altri casi in cui lo Stato non può esigere l’IVA, escludendo il reato o la consapevolezza dello stesso. Questo si verifica quando l’imprenditore preferisce pagare i dipendenti, anziché versare l’imposta.
Tuttavia, in questa fattispecie è necessario che vi sia una continuità aziendale. In sostanza, è necessario che la scelta operata dall’imprenditore permetterà oggettivamente la prosecuzione dell’attività, la salvaguardia dei posti di lavoro, il proseguo della produttività e, dunque, la maturazione dei ricavi e utili. Così facendo, in un secondo momento, l’imprenditore potrà adempiere ai suoi obblighi.