Che sia TikTok, Huawei o Xiaomi, gira che ti rigira si va a finire sempre lì, a mettere in dubbio l’operato dei cinesi.
Sono anni ormai che provano a dare scacco matto al social numero uno al mondo, in realtà uno scacco al re, visto che nonostante siano stati imposti blocchi completi (o parziali) dell’app cinese di proprietà di ByteDance negli USA (ovviamente) e in Canada, in India, Pakistan, Afghanistan e Taiwan, ma anche in Australia e in Nuova Zelanda, per non parlare di Regno Unito, Scozia, Belgio, Francia e nella Commissione e Parlamento d’Europa, TikTok continua serenamente a primeggiare.
Anche la battaglia (persa ma fino a un certo punto) di Huawei contro l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha fatto un po’ scuola un po’ giurisprudenza. Nel 2019 furono inflitte durissime restrizioni all’esportazione di tecnologia americana al colosso cinese, in grande ascesa all’epoca, ma finito nella black list americana, “entity list” per l’esattezza. Non è che la situazione si sia ammorbidita con la governance di Biden, nonostante Huawei abbia respinto sempre le accuse di rischio per la sicurezza nazionale.
Da marzo il Wall Street Journal sostiene che l’amministrazione Biden sta valutando la possibilità di revocare le licenze di esportazione rilasciate ai fornitori statunitensi per le vendite a Huawei. Altro che proroga, si va verso il ban totale, che includerebbe anche Qualcomm e Intel, che forniscono i chip per smartphone e altri device.
Da TikTok a Xiaomi, passando per Huawei, il passo è breve. Il colosso pechinese torna nell’occhio del ciclone per una storia datata 2019: il mancato rilascio del kernel dei suoi smartphone. Cos’è il kernel? Il nucleo di un sistema operativo se il quale non può funzionare, una specie di anello di congiunzione tra il software applicativo e l’hardware del sistema.
Ebbene, finora, il produttore di smartphone cinese, un autentico colosso in grado di competere con i mostri sacri Apple e Samsung, non avrebbe rilasciato il codice sorgente del kernel per i suoi ultimi smartphone: gli Xiaomi 11T, 12S e SPro, T e TPro, senza dimenticare il 13 Ultra, ma anche vari Redmi.
Legalmente l’azienda di Pechino starebbe violando norma sulla licenza GPL, ignorando l’obbligo rilasciare i codici sorgenti pubblicamente. Non sarebbe l’unica, ma essendo un produttore cinese, è chiaro che finisca in quell’occhio del ciclone, in quanto stare bloccando lo sviluppo, rifiutandosi di rilasciare il codice sorgente del kernel. Ban in vista? Dipendesse dagli statunitensi non ci sarebbero proprio dubbi.