Eredita 480 milioni di vecchie lire: al momento di cambiarli in euro impallidisce

Brutta sorpresa per una signora che ha provato a farsi cambiare in euro la ricca eredità (in lire) di un parente deceduto.

Ma quando ha provato a convertire i soldi è arrivata la doccia fredda. La palla perciò è finita in mano agli avvocati che proveranno far valere i diritti della donna. Ecco cosa è successo e perché la banca si è rifiutata di cambiare i soldi della vecchia divisa.

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Ereditare una cospicua eredità senza poterla incassare. Un paradosso, per non dire una vera e propria beffa. E questo per il semplice motivo, si fa per dire, che l’eredità in questione è in vecchie lire che non possono più essere convertite in euro. È quanto accaduto una signora di 85 anni residente a Foggia.

Qualche giorno fa l’anziana donna è entrata in possesso dell’eredità di uno zio venuto a mancare. Essendo il parente defunto celibe e senza figli, la donna è diventata la sua unica erede. Successivamente è riuscita a recuperare, in una filiale di Parma di Intesa San Paolo, una vecchia cassetta di sicurezza contenente quasi mezzo miliardo in vecchie lire.

Banca d’Italia rifiuta di cambiare le vecchie lire dell’eredità

Per la precisione la somma ereditata dallo zio ammontava a 480 milioni di lire in banconote di diverso taglio. In quanto erede universale ha dunque preso contatti con la Banca d’Italia per chiedere informazioni sulla possibilità di vedersi cambiare in euro la sostanziosa eredità dello zio. Ma si è vista essenzialmente rispondere picche. Con quale motivazione? È presto detta: per i funzionari di Bankitalia è impossibile chiedere la conversione delle vecchie lire.

Questo perché cambiare i soldi in vecchia valuta non era già più possibile una volta trascorsi dieci anni dall’entrata in circolazione dell’euro, il primo gennaio 2002. Essendo già abbondantemente passati i dieci anni la donna si è vista così “rimbalzare” la richiesta di cambio.

Eredità, la palla passa agli avvocati

La signora barese però non si è arresa e si è rivolta così alle avvocatesse Elena Caparello e Patrizia De Paola del Foro di Roma che tra le altre cose si occupano, a livello italiano e internazionale, della conversione da lira a euro. L’intento è quello di ottenere il cambio in valuta corrente forzosamente attraverso una richiesta di conversione presentata di fronte al Tribunale ordinario.

La tesi avanzata dai legali della 85enne è che, anche se allo stato attuale in Italia vige una prescrizione ordinaria decennale per esercitare i diritti di credito (è quanto sostiene la Banca d’Italia) è pure vero che il termine iniziale dei dieci anni comincia a decorrere dal momento in cui il soggetto può far valere il proprio diritto (secondo l’articolo 2935 del codice civile, che disciplina la decorrenza della prescrizione).

Qual è la tesi dei legali della donna che si è vista rifiutare il cambio lira-euro

Nel caso in questione il periodo dei dieci anni deve dunque partire dalla data in cui sono state ritrovate le banconote, un ritrovamento che risale a poco tempo fa, dopo la morte dello zio di cui la donna è diventata unica erede. A detta dei legali dunque la signora avrebbe potenzialmente tempo fino al 2033 per farsi cambiare in euro i 480 milioni di vecchie lire dell’eredità dello zio scomparso.

Va anche ricordato che in tutti gli altri Stati della Comunità europea non esiste questo tipo di prescrizione, quindi è ancora possibile fare il cambio tra l’ex moneta nazionale e l’euro. L’Italia cioè è l’unico Paese dell’Eurozona dove esiste una prescrizione ordinaria decennale per l’esercizio dei diritti di credito.

Le prossime mosse legali per il recupero dell’eredità

Sempre lo studio legale sostiene poi che le operazioni di cambio analoghe eseguite nel periodo compreso tra il 22 gennaio 2016 e il 31 maggio 2021 sono state in tutto 263, corrispondenti a un importo complessivo pari a .661.596,96 euro.

Il primo passo, ha fatto sapere lo studio legale che segue la vicenda del cambio lire-euro negato, sarà quello di «fare una diffida stragiudiziale a Banca Italia, tramite Pec e al Mef (Ministero economia e finanze)». In caso non dovesse succedere niente andrà una «causa civile radicata su Roma perché i due enti hanno sede a Roma». L’importo convertito è «235mila euro circa».

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