Occhio alla busta paga: cosa succede coi permessi non goduti

La maturazione dei permessi retribuiti in busta paga ne presuppone l’utilizzo da parte del lavoratore. Esistono però alcune strade alternative.

Il concetto di busta paga è abbastanza intuitivo. E, nello specifico, lo è per coloro che, in quanto lavoratori dipendenti, ne possiedono una.

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Un documento fondamentale, non solo come prospetto della situazione retributiva del lavoratore ma anche in virtù delle sue funzioni di indicatore rispetto alla regolarità del rapporto in essere con il proprio datore. E, di rimando, con il Fisco per quel che riguarda la contribuzione. Del resto, a saperla leggere nel modo corretto (cosa obiettivamente non facile per un occhio non esperto), la busta paga evidenzia anche altre situazioni, come quella legata allo stato dei propri permessi. Posto che, e questo è più noto, ogni lavoratore dipendente ha diritto ad alcuni permessi in forma retribuita, maturati durante l’anno proprio per l’accumulo di ore di lavoro svolte. E non tutti sono legati alla Legge 104.

È risaputo, infatti, che tanto gli invalidi quanto i caregiver (coloro che li assistono) abbiano diritto a tre permessi retribuiti al mese per svolgere le attività di cura o assistenza. Una concessione che figura come un diritto acquisito e inalienabile a norma di legge, a patto che il lavoratore rispetti il patto di fiducia che questo andrebbe a innescare. Qualora il dipendente usufruisse dei permessi per motivazioni altre rispetto alla cura della disabilità, la violazione potrebbe costare non solo la revoca del beneficio ma addirittura lo stesso posto di lavoro. I permessi maturati in altri contesti, invece, pur dovendo essere giustificati non pongono simili limitazioni.

Permessi in busta paga non goduti: come avviene la monetizzazione

Al di là delle prestazioni alle quali si ha diritto in condizione di Legge 104, quello ai permessi retribuiti è un diritto maturabile da qualsiasi lavoratore sia inquadrato secondo un contratto di lavoro subordinato. Nello specifico, tali permessi retribuiti si dividono in due categorie: quelli previsti dalla legge e quelli introdotti dalla contrattazione collettiva. In entrambi i casi, il fruitore non avrà vincoli sulle attività da svolgere. Sarà perciò la busta paga l’indicatore sullo stato dei propri permessi. I cedolini, quantomeno la maggior parte di essi, contiene le informazioni di riferimento nel riquadro in basso a sinistra, nel quale sono presenti le indicazioni riferite sia ai permessi maturati che a quelli già goduti e ancora disponibili. Stesso discorso per le ferie accumulate, godute o meno. È evidente, quindi, che un lavoratore possa arrivare a mettere insieme numerose ore di permesso senza averne per forza beneficiato pienamente.

In questi casi, tuttavia, l’accumulo permanente non sarà consentito. Se i permessi devono essere fruiti entro le modalità e le tempistiche indicate dal proprio Contratto collettivo di riferimento, è anche vero che, alla data del 30 giugno, il lavoratore potrebbe ritrovarsi in busta paga delle variazioni al rialzo. Dal momento che il datore di lavoro è tenuto obbligatoriamente a garantire ai dipendenti tali periodi di sospensione dal lavoro (con possibilità di sanzioni pesanti in caso di inadempienza), gli viene riservata la possibilità di accreditare i permessi non goduti a vantaggio dei lavoratori. Secondo un importo variabile in base ai contributi Inps, comunque in modo speculare all’effettivo godimento del beneficio. Se al 30 giugno risultasse un accumulo di permessi maturati ma non goduti, entro il mese successivo il datore dovrà provvedere a corrisponderli in forma di contribuzione aggiuntiva.

Indennità sostitutiva

In questo caso si parla di indennità economica sostitutiva del permesso maturato. Il cui ammontare sarà pari alla retribuzione del lavoratore per le ore non utilizzate. Anche in questo caso, sarà la busta paga a darne conto. Il datore di lavoro inserirà la liquidazione dei permessi non goduti fra le somme a credito, individuate alla voce “rol”, “permessi” o “indennità sostitutiva”. Nel primo caso, si farebbe riferimento a quelle ore maturate riferite alla riduzione dell’orario di lavoro, previste in base al proprio Ccnl di riferimento.

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