Si intensificano le discussioni su Quota 41 ma il tema pensioni resta estremamente complesso. Anche (e soprattutto) per una questione di risorse.
Se ne parla perlomeno da un paio d’anni. Nonostante una legislatura travagliata, con cambi di rotta (e di maggioranza) tanto repentini da rendere complicato mantenere la barra dritta su una riforma, di qualunque natura.
Figurarsi su un tema di per sé divisivo come quello delle pensioni, notoriamente terreno fertile per lo scontro politico, qualunque sia l’ala parlamentare trainante. Il problema è che, dopo l’addio a Quota 100 e gli ultimi scampoli utili per riuscire a utilizzarla come meccanismo base (requisiti maturati entro il 31 dicembre 2021), la riforma del sistema pensionistico era quanto di più atteso. Non aveva fatto in tempo il Governo Conte II a fornire un nuovo piano comune per la pensione ordinaria di anzianità, lasciando campo libero all’esecutivo a guida Draghi che, in attesa di un margine più ampio per la riforma, aveva consegnato agli italiani il ponte di Quota 102. L’avvicendamento politico di fine legislatura ha però messo, per l’ennesima volta, i bastoni fra le ruote delle pensioni.
E, con l’agenda politica sempre più densa in vista delle elezioni, il tema è via via finito nelle retrovie. Con il punto di forza di un nuovo corso politico che potesse poggiare sulla pietra d’angolo della scelta elettorale (base non avuta da nessuno dei tre governi precedenti), l’obiettivo (ma forse più la speranza) era che il nuovo esecutivo si facesse carico del rush finale verso il nuovo sistema pensioni. Con lo scopo di fornire un meccanismo ponte per l’anno in corso (tanto per evitare il ritorno alla Fornero) per poi ragionare in ottica 2024. La Legge di Bilancio, tuttavia, non ha messo molta carne al fuoco, con l’introduzione di Quota 103 e i rinnovi vari sugli strumenti di pensione anticipata, e l’unica vera discussione sull’innalzamento delle pensioni minime. Non poco ma nemmeno abbastanza per aspettarsi una vera e propria riforma.
Pensioni, la riforma del meccanismo base: la strada verso Quota 41
Fra gli obiettivi posti dal Governo in materia di pensioni, figurava quello della flessibilità. Volto, innanzitutto, a garantire un adeguato ricambio generazionale e, in buona sostanza, presupposti minori per situazioni di inoccupazione. E, per inciso, per eventuale percezione di misure di sussidio come il Reddito di Cittadinanza. Nulla di ufficiale su una riforma complessiva del sistema pensioni, nonostante in maggioranza le discussioni, oggi come qualche mese fa, non siano mancate. La Lega, in particolare, ha da tempo alzato il pressing affinché il resto della coalizione si convinca a seguire la strada di Quota 41 in forma piena. Tirando fuori la misura dei 41 anni contributivi (a prescindere dall’età anagrafica) dal circuito chiuso dei lavoratori precoci, per i quali è già prevista. Una discussione entrata nel vivo, almeno parzialmente, proprio in queste settimane con l’incontro fra Governo e parti sociali.
Nelle ultime ore, a tenere viva la fiamma ci ha pensato il ministro del Lavoro, Marina Calderone, che in un’intervista al Messaggero ha parlato di Quota 41 come di una questione “presente nel confronto con le parti sociali“, ribadendo che “si faranno tutte le verifiche di sostenibilità necessarie“. In sostanza, pur confermando le discussioni in atto, il Governo prende ancora tempo. Anche perché la questione è tutt’altro che semplice. Nonostante l’orizzonte temporale sia il 2024, quindi con una nuova Legge di Bilancio a fissare tempi e risorse, una Quota 41 ex novo non potrebbe rimpiazzare una legge vigente, ossia quella relativa alle pensioni in forma anticipata a 42 anni e 10 mesi (uomini) e 41 e 10 mesi (donne).
I conti che non tornano
Il problema riguarda proprio i conti pubblici i quali, tenendo presente l’accensione (ormai da tempo) dei riflettori europei sulle finanze dell’Italia, potrebbero non sostenere un meccanismo che, per molti contribuenti, potrebbe significare un’uscita anticipata dal mondo del lavoro. Non va dimenticato, infatti, che in Italia la spesa per il pagamento delle pensioni è superiore a quella relativa agli stipendi. E con una cifra complessiva di uscite previdenziali che ha già da tempo sfondato quota 330 miliardi. Il che, in modo abbastanza evidente, impone di andarci cauti su un eventuale strumento che possa aumentare in numero sensibile le uscite anticipate. A meno che la riorganizzazione del tessuto occupazionale, pensata con la riduzione dei sussidi (RdC) e una politica di reinserimenti, non vada realmente a dama nel miglior modo possibile. Più un auspicio che una possibilità. Almeno per ora.