Per quanto figuri come diritto riconosciuto, anche la pensione di reversibilità potrebbe incappare in sospensioni o, addirittura, revoca.
Il presupposto di base della pensione di reversibilità è, già di per sé, una situazione di difficoltà emotiva. Almeno analizzando la questione in senso generale.
Tale trattamento, infatti, spetta ai familiari superstiti a seguito del decesso di chi, al termine della propria attività lavorativa, aveva maturato il diritto a un assegno pensionistico. Nella maggior parte dei casi, tale misura viene attribuita al coniuge superstite, anche se divorziato (ma solo a determinate condizioni), e ai figli del soggetto, se presenti. Chiaramente, la pensione di reversibilità sarà attribuita nel momento in cui il deceduto fosse stato in possesso attivo di una prestazione pensionistica. La quale, successivamente, viene riconosciuta ai familiari sulla base dell’importo complessivo del trattamento ma in percentuale variabile a seconda dei familiari aventi diritto. Tendenzialmente, l’assegnazione degli importi non prevede l’erogazione della cifra massima.
Al momento, l’importo in forma piena spetterà esclusivamente in presenza di un coniuge con due o più figli a carico o di prole numerosa senza presenza del coniuge. Inoltre, qualora il soggetto titolare del trattamento non avesse avuto figli né contratto matrimonio ma fosse egli stesso componente di una famiglia numerosa, composta da sette o più fratelli, a questi spetterà il 100% dell’importo pensionistico percepito. Per il resto, le percentuali oscilleranno fra il 15% (un genitore, fratello o sorella) e il 90% (sei fratelli o sorelle). La misura standard, destinata a un coniuge solo, è fissata al 60%. Per quanto riguarda i figli, invece, la reversibilità spetterà anche ai maggiorenni, con limite a 21 anni (se studenti delle scuole superiori) e a 26 (universitari). Non sono previsti limiti, invece, per i figli in condizione di inabilità.
Pensione di reversibilità: quando e perché scatta la revoca
Apparentemente, il diritto alla pensione di reversibilità appare piuttosto cristallizzato. Nel senso che, una volta acquisito, appare quantomeno difficile che si manifestino le condizioni per una revisione degli importi o, addirittura, per una revoca del diritto maturato. Entrambe le possibilità, in realtà, possono verificarsi con molta più frequenza di quanto non si pensi. Bisogna considerare che, come ogni anno, la perequazione automatica applica alle pensioni una rivalutazione sulla base dell’aumento dei costi, cercando di adeguare i trattamenti percepiti al costo medio della vita. Mai come in questo momento schizzato a livelli elevatissimi, con un tasso di inflazione che, nel mese di dicembre, aveva toccato l’11,6%. L’obiettivo, quindi, è quello di fornire ai contribuenti gli strumenti giusti per superare le criticità economiche generali. Chiaramente, però, le rivalutazioni devono tener conto di alcune condizioni essenziali.
Riduzione dell’importo: i casi
Per la reversibilità, al momento, il trattamento minimo è fissato a 524,34 euro mensili. Ed è su tale quota che verrà innescata la rivalutazione degli assegni, attraverso l’applicazione del 7,3% (ossia la forma piena di ritocco) e di un +1,5% aggiunto in via eccezionale dal Governo (e che passerà al 2,7% nel 2024). Stando così le cose, l’aumento complessivo dell’importo sarà dell’8,8%, con aumento potenziale oltre i 570 euro (sopra i 600 per gli over 75, che già beneficiano dell’aumento delle pensioni minime).
Ma in quali casi l’equilibrio potrebbe iniziare a vacillare? La variabile principale riguarda le mutate condizioni socio-economiche rispetto al momento della prima percezione della misura. Se il reddito del titolare della reversibilità non andrà oltre di tre volte il trattamento minimo, l’importo resterà immutato. Con la progressione del reddito, andrà via via a scemare anche la corposità dell’apporto. Fino a un taglio massimo pari al 50% in caso il reddito superiore alla soglia massima prevista, ossia cinque volte il trattamento minimo.
La revoca
Il passaggio da una riduzione per ragioni reddituali a una revoca totale della misura il passo potrebbe essere breve. In questi casi non si parla solo di mutate condizioni reddituali ma anche di cessazione degli effetti di quei requisiti che avevano permesso di usufruire dell’indennità. Ad esempio, qualora il coniuge superstite contragga un nuovo matrimonio, oppure se i figli percettori diventano maggiorenni o cessano il loro periodo di studio. Inoltre, se al momento del decesso del genitore il figlio svolgesse attività in grado di generare un reddito di riferimento, la reversibilità verrebbe sospesa. A meno che il lavoro svolto non sia retribuito in modo tale da non poter contribuire alla formazione di un proprio reddito.