Inquilino o proprietario: chi paga l’IMU? La risposta inaspettata

Una domanda pertinente, specie dopo l’introduzione della nuova IMU. Ecco a chi tocca farsi carico dell’imposta in presenza di un affitto.

Come funziona l’IMU sulle case in affitto? Una domanda che interessa non poche persone, vista la facilità con la quale tale situazione può manifestarsi.

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In questo senso, un passaggio normativo fondamentale è avvenuto in tempi recenti. Un inquadramento a livello legislativo che ha chiarito un punto fin lì non troppo chiaro relativo al saldo dell’Imposta municipale propria (l’IMU appunto), dovuta in due tranche ma sempre in bilico fra il proprietario dell’immobile e colui che vi abita come affittuario. Posto che la tassa va versata, ormai da diversi anni, esclusivamente sulla cosiddetta “seconda casa”, il dubbio di fondo è rimasto fino alla fine del 2019 quando, per effetto della Legge di Bilancio 2020, l’inquilino in affitto è stato del tutto esonerato dal precedentemente previsto contributo sulla tassazione. Nello specifico, fino al 2019 l’affittuario era chiamato a contribuire con una quota al pagamento dell’IMU, versando una somma come Tributo per i servizi indivisibili (TASI).

Tributo che, con la suddetta Legge di Bilancio, ha subito un colpo di spugna. E il restyling dell’IMU ha portato il peso della tassa interamente sulle spalle del proprietario dell’immobile. Al netto di qualche agevolazione di cui, eventualmente, potrebbe usufruire. L’abolizione della TASI, in sostanza, ha completamente sgravato l’inquilino dai precedenti obblighi previsti sulla tassa di proprietà dell’immobile. In tal senso, gli affittuari non potranno nemmeno essere considerati come beneficiari di un esonero, in quanto la legge non prevede più la loro partecipazione alla spesa relativa all’Imposta municipale propria. Come detto, però, il quadro per i locatari non è completamente fosco.

IMU a carico dei proprietari: cosa succede con un immobile in ristrutturazione

Ancora prima della revisione dell’IMU e dell’abolizione della TASI, nel 2018, era stata introdotta un’altra importante novità, riguardante i proprietari di un immobile con stipula di un contratto di locazione a canone concordato. Dall’1 marzo di quell’anno, infatti, il locatario può beneficiare di un’agevolazione pari alla riduzione dell’imposta al 75%, con aliquota allo 0,76%. Possibilità concessa in luogo della presentazione di un’attestazione che dimostri la rispondenza del contratto ai dettami dell’accordo territoriale di riferimento. Qualora tutto risultasse in regola, il locatario andrà a beneficiare di uno sconto di imposta pari al 25%. Per il resto, la nuova IMU non fa distinzioni. Oltre al locatario in questione, a dover versare la tassa (stavolta per intero) saranno:

  • proprietario dell’immobile;
  • titolare del diritto reale di usufrutto, abitazione, uso, enfiteusi e superficie dell’immobile;
  • genitore assegnatario della casa familiare dietro provvedimento di un giudice;
  • concessionario.

Il parco agevolativo, in sostanza, è abbastanza ridotto. Anche se per i coniugi proprietari di due immobili, è previsto uno spiraglio normativo che consente l’esenzione dall’imposta qualora anche la seconda abitazione figuri come dimora abituale o addirittura residenza. Ciò può avvenire in caso, ad esempio, di lunghe assenze per lavoro, qualora l’immobile si trovi in un’altra città. Tale eventualità, tuttavia, dovrà essere adeguatamente dimostrata e dimostrabile. In questo senso, perfino le bollette relative alle utenze domestiche potranno costituire una prova di abitudinarietà nella residenza. Come spiegato, tuttavia, il quadro delle agevolazioni si restringe a poche eccezioni. L’IMU, infatti, sarà obbligatoria anche nel caso in cui l’abitazione su cui grava fosse soggetta a ristrutturazione. In caso di lavori in corso, l’imposta sarà dovuta sulla base dell’area fabbricabile. Altrimenti, in caso di manutenzione (ordinaria o straordinaria), a far fede sarà la rendita catastale. Sulla base di quanto disposto dal DPR n. 38 del 6 giugno 2001, durante tale periodo non sarà considerata la rendita del fabbricato ma il cosiddetto valore venale, ossia alla sua stima teorica.

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