Ci sono dei lavoratori che arrivano in un momento della loro carriera che sono costretti al pensionamento forzato. E per questo motivo devono lasciare il posto, ma chi è che deve farlo? Andiamo a conoscere come rimanere a lavorare.
Non è un mistero che il sistema pensionistico italiano è un bel po’ complesso, tanto che i dibattiti e le discussioni in merito sono notevoli. Basta pensare a quanto successo con la legge di Bilancio del governo Meloni. Anche perché, parliamoci chiaro, la maggior parte delle persone nel nostro paese sono anziani. Motivo per il quale, la politica è in prima linea per risolvere alcune questioni che ancora oggi sono spinose e delicate.
Ciò che non cambia è la garanzia ed il diritto all’esistenza delle pensioni, che ogni persona auspica di avere in base alla proprie condizioni economiche. Per accedere a questo sistema è importante essere in possesso di alcuni requisiti: età e contributi, sono questi due che sono indispensabili e necessari. L’età minima legale, come sappiamo, è 67 anni con almeno 20 anni di contributi versati. E questo in linea generale.
Le cose sono un po’ diverse quando si tratta di pensionamento forzato. In pratica, è una situazione in cui alcuni lavoratori sono spinti a lasciare il proprio posto di lavoro per questioni legate a delle normative ben specifiche che appunto prevedono il ‘pensionamento di ufficio’. In poche parole, si tratta di una scena non consapevole e volontaria da parte del lavoratore, ma che dipende dalla pubblica amministrazione o dal datore di lavoro.
Che cos’è il pensionamento forzato: a chi spetta?
La pensione rimane per tante persone un vero miraggio che in alcuni casi non arriva mai. Per altri, invece, diventa una imposizione poiché in certi casi scatta il cosiddetto pensionamento forzato oppure il licenziamento per limiti di età che sono sopraggiunti. Nel primo caso si parla di lavoratori del settore pubblico, mentre nel secondo caso di lavoratori del settore privato.
Settore pubblico
Quando si parla di pensionamento di ufficio in merito alla pubblica amministrazione ci riferiamo a tutti quei lavoratori che sono dipendenti statali o di enti pubblici. In questo caso, la persona è costretta a lasciare il suo posto dopo aver raggiunto l’età canonica e aver maturato i contributi stabiliti per legge. E quindi si vede costretta a ritirarsi per ottenere la pensione di vecchiaia.
Tale situazione riguarda tutti i lavoratori che fanno parte del settore pubblico. Quali sono? Parliamo di quei dipendenti ministeriali, dei sanitari, degli enti locali o del comparto scolastico, e molti altri ancora. Nella loro situazione non si può fare nulla per arginare questa cosa e prolungare il loro servizio.
Settore privato
Tale norma vale anche per quanto riguarda i lavoratori che hanno un datore di lavoro e quindi appartengono al settore privato. In questo caso, una volta che il dipendente ha compiuto 67 anni, può essere sottoposto al ‘licenziamento ad nutum’, ovvero il licenziamento libero. Il datore di lavoro può faro senza dare alcuna spiegazione in merito.
Tuttavia, è possibile continuare a lavorare solo nel caso si provi di non aver versato i 20 anni di contributi obbligatori. E quindi, in questo caso, il dipendente può continuare a prestare il proprio servizio fino a 71 anni. Se nel contratto ci sono delle clausole particolare, la collaborazione può interrompersi quando il lavoratore compie 65 anni o al raggiungimento del limite che è previsto contrattualmente.
Pensionamento forzato, quando è possibile continuare a lavorare?
In caso in cui una persona ha compiuto 67 anni e quindi deve andare in pensione, può trovare un escamotage per rimanere solo in caso non abbia maturato i contributi minimi che sono previsti per legge. In poche parole, oltre all’età, deve aver versato 20 anni di contributi. E questo vale sia per il settore pubblico che privato. Tuttavia, è importante che non si va oltre i 71 anni, che è l’età massima riconosciuta per legge per lavorare.
Un’altra modalità per continuare a prestare il proprio servizio è in caso in cui il dipendente deve ottenere i contributi puri. In poche parole, alla persona servono non solo i 67 anni compiuti e i 20 anni di contributi versati, ma un assegno liquidato di 1,5 volte l’assegno sociale. E quindi che cosa vuol dire? Parliamo di quelle persone che non hanno versato prima del 1996 e quindi non possono ricevere un assegno di 702 euro mensili. E anche in questo caso il massimo è 71 anni.