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Alzheimer e fase N-REM del sonno, la scoperta che sorprende e dà speranza

Published by
Stefania Guerra

Cosa c’entrano Alzheimer e fase N-REM del sonno? Ce lo rivela un interessante studio che offre nuove speranze di gestione della malattia.

Come sappiamo, l’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, per la quale ad oggi non esistono ancora cure. Ma la Ricerca va avanti e non si arrende.

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Numerosi studi sono volti ad arricchire le possibili modalità di prevenzione, oltre che di terapia quanto la malattia è già manifesta. Tra questi studi è emerso, in più di un’occasione, che un sonno interrotto, non profondo e disturbato aumenta le probabilità di Alzheimer e di altre forme di Demenza.

Di contro, lo studio che spieghiamo nel dettaglio di seguito, ha cercato di comprendere se le fasi del sonno N-REM, cioè quelle più profonde, fossero legate a quella che viene definita “riserva cognitiva”. Scopriamo dunque di cosa si tratta.

La Fase N-REM del sonno come fattore di riserva cognitiva, cosa hanno scoperto gli scienziati

Alcuni esperti dell’Università della California di Berkeley, negli States, hanno cercato di capire meglio la correlazione tra le varie fasi del sonno e la risposta del cervello alle proteine che innescano l’Alzheimer, le beta-amiloidi. I risultati della ricerca sono stati poi pubblicati su BMC Medicine.

Sembra che beneficiare di sonno non-REM abbia un effetto protettivo e di resilienza proprio nel declino cognitivo che avviene nelle persone affette dal Morbo di Alzheimer. Fattore che, se studiato ancora meglio e approfondito, potrebbe portare anche a nuove opzioni terapiche.

Il Team di ricercatori ha reclutato 62 anziani al momento dei test in buone condizioni di salute, cioè senza i sintomi di demenza o Alzheimer. L’esperimento è consistito in farli dormire in appositi laboratori, collegati a strumentazioni che ne misurassero l’attività cerebrale.

Tramite elettroencefalogramma e altre analisi, gli esperti hanno misurato anche l’accumulo di beta-amiloide. Gli esperimenti si sono tradotti anche in esercizi per verificare la qualità della memoria dei pazienti.

Ebbene, dopo i vari test è emerso che “le persone con più elevati livelli di beta-amiloide, ma che dormivano di più nella fase non-REM, avevano punteggi più alti all’esercizio di memoria, rispetto a quelli con elevati livelli della proteina ma che dormivano meno tempo nel sonno profondo“.

Dunque, dormire profondamente ha fatto bene alla salute dei soggetti con maggiori accumuli di beta-amiloide, ovvero più a rischio di sviluppare demenza. Ai soggetti che presentavano minori livelli di beta-amiloide, però, sembra che il sonno profondo non abbia comportato alcun effetto, né positivo né negativo.

Un altro passo avanti, dunque, che facendo comprendere meglio i meccanismi del cervello potrà far ideare nuove soluzioni curative, sia a livello preventivo che durante la piena manifestazione del morbo.

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