È consentita la modifica unilaterale dell’orario lavorativo da parte del datore. Bisogna, però, rispettare dei principi fondamentali.
Per i lavoratori dipendenti, l’orario di lavoro è deciso dal contratto e, su di esso, viene calcolata la retribuzione spettante.
Il datore, tuttavia, gode di un certo potere discrezionale riguardo l’organizzazione giornaliera, settimanale e mensile delle attività lavorative. Possono, quindi, verificarsi delle modifiche dei turni lavoro, senza il consenso dei dipendenti.
Tale facoltà, però, va esercitata nel rispetto di alcuni limiti, imposti dalla legge, dai contratti collettivi e dalle intese sindacali.
La durata dell’orario lavorativo è stabilita dal contratto individuale, sulla base delle regole indicate nei contratti collettivi e aziendali.
Precisiamo che il datore non può cambiare unilateralmente l’orario, ma può suddividere diversamente le prestazioni in un determinato arco temporale, se ci sono necessità organizzative e produttive. Deve, però, sempre garantire le 11 ore consecutive di riposo giornaliero e almeno 24 ore di stop ogni 6 giornate lavorate.
La durata dell’orario lavorativo, invece, può essere modificata solo su accordo delle parti.
I lavoratori che svolgono una quantità di ore maggiori rispetto a quelle previste dal contratto, hanno diritto ad un incremento dello stipendio, pari ad almeno il 15% della paga base. Le ore lavorate in più, inoltre, vengono considerate come lavoro supplementare.
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Il datore può, dunque, unilateralmente decidere mutamenti interni dei turni di lavoro, informando gli interessati con una semplice comunicazione.
In molti casi, tuttavia, il datore di lavoro è tenuto ad informare preventivamente il dipendente circa le modifiche, per consentirgli di riorganizzare l’attività secondo le nuove disposizioni.
Se, inoltre, la modifica dell’orario lavorativo riguarda un gruppo numeroso di lavoratori, è necessario un accordo tra il datore e le rappresentanze sindacali aziendali. L’esito, però, non è vincolante e, quindi, il datore potrà disporre le variazioni anche in caso di mancato raggiungimento dell’accordo.
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Il codice civile stabilisce che il lavoro subordinato si svolge “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore“.
Il potere di quest’ultimo nel modificare l’organizzazione dell’orario lavorativo giornaliero, settimanale o mensile, tuttavia, non può ritenersi assoluto. Ci sono, infatti, dei limiti da rispettare, per tutelare gli interessi e i bisogni dei dipendenti coinvolti.
In tale ottica, le variazioni non possono essere arbitrarie, ma devono essere giustificate da concrete ed impellenti urgenze organizzative dell’azienda.
Il ruolo dell’imprenditore, in altre parole, deve svolgersi sulla base dei principi di correttezza e buona fede, sanciti dall’art. 1375 del codice civile; entrambe le parti stipulanti il contratto lavorativo, inoltre, devono rispettarlo con lealtà reciproca.
Di conseguenza, un mutamento dell’orario lavorativo non dettato dalla necessità di salvaguardare il bene dell’azienda, sarà ritenuto illegittimo perché discriminatorio. Il lavoratore potrà adire il giudice per riottenere i vecchi turni di lavoro.
Oltre che alle esigenze organizzative e produttive, qualsiasi variazione dell’orario di lavoro deve tenere conto anche delle necessità personali del lavoratore coinvolto. Queste ultime, tuttavia, sono meno rilevanti. Ad esempio, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31349 del 3/11/2021, ha considerato legittimo il cambio dei turni di una dipendente con problematiche di salute (nello specifico, “cefalea e stato ansioso“).
Gli Ermellini, infatti, hanno sottolineato che, se non ci sono elementi oggettivi che mostrino una discriminazione nei confronti del dipendente, il potere del datore è lecito. Il giudice, quindi, può solo garantire che i mutamenti avvengano perché dettati da necessità oggettive; non può, invece, entrare nel merito delle scelte dell’imprenditore.
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