Il valore dell’affitto di casa ha un nemico giurato: l’inflazione. Scopriamo in che modo influisce sui bilanci familiari.
L’affitto di casa nel 2023 ha fortemente risentito del tasso di infrazione al 9%. Questa situazione riguarda sia coloro che hanno stipulato un contratto quattro più quattro a canone libero, che un contratto della durata di tre più due anni, a canone concordato.
Di fatto, anche per coloro che hanno già stipulato un contratto per l’affitto di casa c’è il rischio di veder lievitare il canone da versare mensilmente.
In base a quanto stabilito dall’ordinamento giuridico italiano, infatti, i padroni di casa ha la possibilità di chiedere un adeguamento del canone in base all’incremento dei prezzi al consumo, tenendo conto del valore calcolato periodicamente dall’ISTAT.
A conti fatti: più l’inflazione aumenta, più aumenteranno i canoni d’affitto a prescindere dalla somma di denaro pattuita al momento della stipulazione del contratto di locazione dell’immobile.
In periodi come quelli che stiamo vivendo, in cui l’inflazione sta facendo registrare cifre record, volando fino a nove punti percentuali, i conduttori sono costretti a pagare un canone di locazione molto più alto rispetto a quello pattuito.
Di conseguenza, coloro che erano già in affanno con i pagamenti mensili si troveranno ad essere sempre maggiore difficoltà, fino a rischiare anche lo sfratto.
Tuttavia, c’è una categoria di conduttori che può sorridere. Ci stiamo riferendo a coloro che hanno stipulato un contratto di locazione con cedolare secca.
In questo caso, infatti, la legge italiana impedisce al padrone di casa di ritoccare il canone d’affitto, in base al tasso di inflazione. Il divieto vale anche nel caso in cui all’interno del contratto sia stata inserita una clausola che dispone diversamente.
Scopriamo cosa devono fare i conduttori che vedono lievitare l’importo del canone di locazione mensile e in che modo possono difendersi.
Sempre più famiglie stanno facendo i conti con il canone d’affitto salito alle stelle, a causa dell’adeguamento al tasso di inflazione.
A questo punto ci si domanda se la legge prevede tutele per gli inquilini. Nel caso in cui il padrone di casa dovesse chiedere un importo mensile particolarmente alto rispetto alle capacità economiche del conduttore: è possibile procedere con la rescissione del contratto o è necessario continuare a versare il canone fino alla sua scadenza?
In base a quanto stabilito dalla legge, per i contratti di locazione che non prevedono la cedolare secca, l’importo del canone d’affitto viene adeguato all’indice ISTAT. Tale adeguamento non è obbligatorio per legge, di conseguenza non scatta in automatico. Affinché la rivalutazione dell’importo avvenga è necessario che sia espressamente previsto dal contratto sottoscritto dalle parti.
La richiesta di adeguamento del canone, laddove il contratto lo prevedeva, può essere manifestata anche a voce. Fermo restando che nella maggior parte dei casi si preferisce inviare comunicazione tramite raccomandata a/r.
Si tratta di una procedura obbligatoria. Di conseguenza, se il padrone di casa si dimentica di comunicare all’inquilino l’adeguamento del canone d’affitto, quest’ultimo può rifiutarsi di pagare l’importo maggiorato.
In ogni caso, l’adeguamento deve seguire uno specifico calcolo stabilito dalla legge. Per intenderci, l’adeguamento deve seguire l’indice FOI al consumo, pubblicato ogni anno sulla Gazzetta Ufficiale.
Coloro che stipulano un contratto di locazione a canone libero, ovvero della durata di 4 anni più 4 anni, le parti hanno la possibilità di prevedere che l’adeguamento del canone avvenga per un valore pari al 100% dell’indice ISTAT di riferimento. Allo stesso modo, le parti hanno la possibilità di stabilire che l’adeguamento avvenga in maniera commisurata ad altri indici di riferimento.
Nei contratti a canone concordato, ovvero quelli della durata di tre più due anni, la rivalutazione dell’importo mensile all’inflazione non può mai superare il 75%.
Quanto sono aumentati gli affitti nel 2023?
L’inflazione registrata nel 2022 e nei primi mesi del 2023 rischia di alterare notevolmente il mercato immobiliare di locazione.
Basti pensare che il tasso di inflazione ha toccato un valore record di 9 punti percentuale e, purtroppo, è destinato a crescere.
Per i contratti di locazione che prevedono la cedolare secca non è prevista alcuna variazione dell’importo del canone. Mentre, per i contratti di locazione a uso abitativo con canone libero sarà previsto un adeguamento al 9% e, dunque, un aumento della spesa mensile da affrontare
Invece, per i contratti residenziali a canone concordato l’aggiornamento del sarà 6,75%, ovvero il 75% dell’indice FOI.
Tutto ciò sta creando molti problemi agli inquilini e sta contribuendo anche ad un importante rialzo dei canoni richiesti per i nuovi contratti di locazione. C’è concretamente il rischio che un elevato numero di famiglie italiane non riescano ad onorare il pagamento del canone di locazione. Il pericolo sfratto per morosità è dietro l’angolo.
Purtroppo la legge, in questi specifici casi, non prevede la possibilità di recedere dal contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Di conseguenza, l’inquilino dovrà attendere la scadenza del contratto, ricordando di dare disdetta con sei mesi di anticipo. Nel frattempo, gli inquilini italiani dovranno continuare a farsi carico della spesa ad ogni scadenza.
Dunque, è necessario sperare che il locatore, per evitare che l’immobile resti sfitto alla scadenza del contratto, rinunci all’adeguamento al tasso di inflazione.
In questo caso, però è necessario che la rinuncia avvenga per iscritto. Dopotutto, la legge consente al padrone di casa di chiedere l’adeguamento di colpo, in un’unica soluzione nell’arco di cinque anni.
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