Quali Buoni fruttiferi convengono davvero su una prospettiva a lungo termine? Poste offre due opzioni interessanti e di poco divergenti.
Meglio un rendimento a breve scadenza o a lungo termine? La flessibilità del rimborso o la certezza di un guadagno finale ma a tempistiche fisse?
In realtà, gli apparenti interrogativi relativi ai Buoni fruttiferi postali, sono semplicemente opportunità travestite da dubbi. Qualunque sia la scelta, infatti, l’emissione da parte di Cassa Depositi e Prestiti rappresenta una garanzia di rendimento finale, a prescindere dall’importo e dai tempi di attesa per rientrare in possesso del proprio investimento. Del resto, lo strumento di punta di Poste Italiane è stato pensato per favorire i piccoli risparmiatori, in possesso di somme più o meno elevate accumulate negli anni e alla ricerca di una soluzione per evitare la stagnazione dei propri importi. È stata proprio la varietà delle soluzioni messe a disposizione, oltre al restyling ciclico delle varianti, a favorire, negli anni, l’ascesa dei Buoni fruttiferi.
Il dubbio, in sostanza, riguarda unicamente quanto impellente sia la propria necessità di far fruttare l’importo investito. Breve, medio o lungo termine, la somma a disposizione andrà a determinare in buona misura la bontà della scelta. Alcuni buoni, infatti, sono pensati per offrire rendimenti interessanti in un lasso di tempo piuttosto breve. Altri ancora, invece, propongono una prospettiva migliore su una scala temporale più ampia, magari per riuscire a far fruttare la meglio un importo non troppo elevato. Molto, comunque, dipende da quanto effettivamente si avrà a disposizione. Considerando che, in media, un risparmiatore difficilmente andrà a depositare su un Buono fruttifero una somma superiore ai 10 mila euro.
Partendo dal presupposto di una cifra tutto sommato standard, come ad esempio 5 mila euro, la prospettiva di rientro non avrà poi grosse divergenze fra il breve e il medio-lungo termine. Tale somma, però, potrebbe essere indicativa circa la possibilità di comprendere quanto i tempi più lunghi di attesa possano essere realmente convenienti a fronte di una cifra media piuttosto comune fra i risparmiatori. In breve, se conviene aspettare vent’anni per rientrare in possesso del proprio investimento, tenendosi però l’importante riserva della flessibilità di rimborso. Se l’orizzonte fossero due decenni pieni, la soluzione sarebbe rappresentata dal Buono ordinario, ossia rendimenti fissi crescenti con possibilità di ottenere il rimborso, comprensivo degli interessi maturati fino a quel momento, in qualsiasi momento, purché sia entro il termine di prescrizione.
Il vantaggio del Buono ordinario riguarda proprio gli interessi, riconosciuti ogni due mesi a partire dal primo anno trascorso dalla sottoscrizione. In questo modo, sulla base di un investimento tipo di 5 mila euro, alla scadenza il titolare si ritroverà ad aver maturato 7.792,51 euro. Una cifra che, su un arco temporale di vent’anni, potrebbe apparire tutto sommato esigua. Come detto, però, il tasso di interesse sarà crescente: dallo 0,50% del primo anno, fino al 2,50% del ventesimo. Il che dà la misura di quale sia l’incidenza della percentuale progressiva rispetto a un buono a tasso costante. Come per tutti i Buoni fruttiferi, anche quello Ordinario non prevede costi di sottoscrizione e gode di una tassazione agevolata del 12,50%.
Occhio però anche alla soluzione 4×4. Un buono con durata massima di 16 anni e interessi riconosciuti ogni 4, a partire dal primo quadriennio di sottoscrizione. Il rendimento annuo lordo a scadenza sarà superiore al Buono ordinario (3%) ma la distanza fra sottoscrizione e maturazione dei primi interessi riduce a 7.645,59 euro il rendimento finale, alle medesime condizioni di vantaggio. L’unica differenza, sarà l’anticipo di quattro anni sul rientro. Abbastanza rilevante considerando lo scarto tutto sommato ridotto.
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